Immaginate di non aver mai giocato ad un videogioco in tutta la vostra vita. Di fronte ai vostri occhi si susseguono immagini, indicatori, suoni, colori. La domanda è: riuscireste a orientarvi? A capire ciò che dinnanzi a voi sta accadendo? E se sì, come?
La comunicazione è il fulcro, l’obbiettivo finale di ogni medium. I videogiochi sono un medium relativamente giovane, arte figurativa ed interattiva, simulatori semplificati della realtà. È stato necessario, quindi, che i videogiochi imparassero a costruire un linguaggio proprio, ispirandosi alle arti visive, come la pittura, il cinema, il fumetto e sfruttando alcune convenzioni che si basano sulla psicologia. Vediamone insieme alcune.
Il senso di progressione
La domanda fondamentale di ogni giocatore: “Sto giocando bene? Sto andando nella direzione giusta? Sto progredendo?” Come rispondere a questa domanda? Certo, nei videogiochi esistono varie risposte didascaliche: l’indicatore del punteggio, una bussola, oppure un segnale visivo che si fa sempre più vicino sulla mappa, ma esistono metodi molto più interessanti per suggerire al giocatore se la direzione imboccata sia o no quella giusta.
Nei videogiochi a due dimensioni, per esempio, ci si muove quasi sempre da sinistra verso destra. A sinistra c’è “il passato” a destra “il futuro”, l’obbiettivo, il traguardo. Qualcuno potrebbe pensare che sia una convenzione importata dal nostro ordine di lettura (noi, per l’appunto, leggiamo da sinistra verso destra), ma questo non spiegherebbe come mai questo principio sia valido anche per i videogiochi nei paesi orientali, che hanno metodi di lettura ben diversi dai nostri e che hanno avuto un ruolo da protagonisti nello sviluppo dei videogiochi in due dimensioni (basti pensare a Super Mario). Il fatto è che, per qualche sconosciuta ragione psicologica, il cervello umano associa il movimento da sinistra verso destra ad una sensazione positiva, di progresso, per l’appunto, mentre quello da destra verso sinistra è percepito come “negativo, pericoloso”. Autori cinematografici come Alfred Hitchcock hanno ben presente questo meccanismo e lo sfruttano spesso: in genere, in un’inquadratura su un piano orizzontale, gli eroi partono da sinistra, i pericoli arrivano da destra.
E in un videogioco a tre dimensioni, invece? Cosa guida il giocatore? La risposta è: la luce: gli oggetti ed i percorsi più importanti sono sapientemente illuminati, in modo da risaltare, seppure in maniera discreta, rispetto a quelli meno significativi. Perciò, se non sapete quale direzione intraprendere… seguite la luce!
I colori
I colori rivestono un ruolo importantissimo in tutte le arti visive, nei videogiochi non potevano essere da meno. Quando, pad alla mano, vi capita sparare contro un barile dipinto di vernice rossa, sapete che esploderà. Quando ci capita tra le mani un oggetto irradiato di luce verde, in genere sappiamo che ci accadrà qualcosa di positivo. Se una stanza è invasa da una nube di gas viola, istintivamente ci tiriamo indietro, anche se nella realtà il gas non ha alcun colore.
Perciò, non deve sorprenderci se le barre della vita saranno quasi sempre verdi, o rosse, il primo un colore che ci rimanda alla natura, al rigoglio, alla salute, il secondo simbolo d’energia, vigore… e nel caso dei barili citati sopra… del fuoco!
Diffidare dei complimenti
Il gameplay, come ha dichiarato Sid Meyer, noto game designer, “è un’esperienza psicologica”. Tutto, in effetti, accade nella nostra testa: al di fuori di essa, ciò che avviene sullo schermo non ha alcun senso. I giochi possono dare origine nel nostro cervello a sensazioni piacevoli, o negative. Delle due, sono sicuramente quelle piacevoli a tenerci incollati allo schermo. Chiudiamo, perciò, con un ultimo espediente molto interessante: quante volte avviene, durante un gioco, di venire celebrati per aver compiuto delle azioni davvero semplici? Il player viene coccolato con congratulazioni vocali, come “Ottimo lavoro, comandante! Grazie, mio eroe, come avremmo fatto senza di te!” o da schermate piene di fuochi d’artificio. Non si tratta di semplici decorazioni: i complimenti fanno sentire il giocatore bravo ed importante, anche quando non se lo merita, per instaurare dentro di noi una “Dipendenza alle gratificazioni”. Il cervello ringrazia e l’endorfina scorre, facendoci venire voglia di giocare ancora ed ancora, perché l’endorfina crea assuefazione. Ora vi sentite meno bravi, vero?